lunedì 25 ottobre 2010

Perchè aderire alla protesta in atto



Vorrei spendere due parole sulla situazione attuale e sulle nostra condizione di docenti. E’ sotto gli occhi di noi tutti che la scuola pubblica italiana sta vivendo un momento che definire difficile è assolutamente eufemistico. Da parte della politica non c’è alcuna attenzione né interesse a investire in un settore delicato qual è quello della formazione; la scuola pubblica è piuttosto vista come un peso, una palla al piede di cui sbarazzarsi il prima possibile. Se si guarda oltre il maquillage ad effetto proposto dai media, la cosiddetta riforma della secondaria superiore non è altro che una serie di tagli di ore di scuola e personale.
I docenti sono sempre più marginalizzati e maltrattati con una serie di misure (ad esempio il taglio degli scatti di anzianità) che rendono le nostre condizioni di vita e di lavoro sempre più difficili e precarie. Un docente costantemente additato come fannullone dal tam tam mediatico,  un docente che ha difficoltà a comprarsi libri per approfondire ed ampliare le proprie conoscenze, un docente spesso vessato da una burocrazia inutile ed ottusa, deve compiere quotidianamente un enorme sforzo di automotivazione per riuscire a portare avanti un lavoro così delicato che richiede conoscenze, competenze, sensibilità, capacità relazionali ed entusiasmo.
Credo che non sia giusto lasciarci trattare così: in primo luogo per noi stessi, per la nostra dignità di persone e di professionisti, ma anche e soprattutto per la scuola pubblica italiana in cui abbiamo creduto e continuiamo a credere a dispetto di tutto.
Credo che se la scuola italiana continua ad esistere nonostante tutto, ciò sia dovuto alla voglia di fare, all’entusiasmo, alla passione dei docenti italiani che hanno lavorato e continuano a lavorare in condizioni ai limiti della decenza. Se questa scuola ancora sopravvive e riesce ancora a produrre conoscenza lo si deve alla comunicazione che avviene in classe fra docenti appassionati e studenti che hanno ancora la voglia e l’entusiasmo di imparare. A dispetto di tutto. Delle aule sovraffollate in cui è impossibile respirare, della tecnologia carente, delle biblioteche pressoché inutilizzate e inutilizzabili, degli orari assurdi e dei diritti che vengono continuamente ignorati.
Siamo a un bivio, oramai. I segnali vanno tutti nel senso di un impoverimento ulteriore della scuola pubblica. Non possiamo più abbassare la testa ed andare avanti come se nulla fosse, mettendo le pezze ad un vestito ormai lacero e consunto. Non serve più, se mai è servito.
Al punto cui siamo arrivati è necessario far emergere le contraddizioni, far capire ad un’opinione pubblica distratta e prevenuta che se gli insegnanti mollano, la scuola italiana, la scuola di tutti, crolla. Come farlo capire? Le azioni di lotta tradizionali (sciopero, blocco degli scrutini) lasciano il tempo che trovano per motivi che non sto qui ad analizzare. La strada che abbiamo scelto, per quanto discutibile ed imperfetta, vuole essere il segnale di un disagio, un tentativo di far sentire che esistiamo e che siamo stufi di fare sempre come se nulla fosse.
Detto questo, credo che siamo solo agli inizi. Alla provocazione è necessario far seguire la comunicazione (con genitori, studenti, forze politiche) senza illudersi che saremo capiti. Se non altro impareremo a parlare al mondo fuori della scuola, a perdere un po’ di inutile autoreferenzialità che ci ha sempre penalizzato come categoria.
Poi dovremo imparare ad essere un po’ più uniti e meno sospettosi gli uni degli altri. Infine dovremo inventarci altre forme di lotta. Non è finita qui.

Lorella Marini
Liceo Scientifico ‘G. Alessi’
PERUGIA

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